CAPITOLO 12

 

L'ospedale Spirito Santo è un grande complesso posto nella periferia ovest della città, in pratica unito al vecchio ospedale a padiglioni che un tempo era a servizio del capoluogo adriatico e non solo. E' dotato di un ampio parcheggio interno, che talvolta diventa insufficiente a causa del nutrito flusso di pazienti e di visitatori che quotidianamente si affollano negli ambulatori e nei reparti.
Il commissario, Palumbo, Grossi e Martella giunsero in corrispondenza del posto di Polizia, non lontano dal Pronto Soccorso. Il commissario si qualificò, l'agente in servizio conosceva bene Palumbo e gli altri colleghi. Lasciarono l'auto nel posto riservato, entrarono passando per l'ingresso del Pronto Soccorso e presero un ascensore fino al sesto piano. All'ingresso del reparto di Medicina Generale ebbero un breve conciliabolo con la caposala, che non ammetteva visite fuori orario; solo la pazienza del commissario, intento a spiegare il motivo della loro presenza, ebbe la meglio sull'irremovibile donna.
Lungo il corridoio passeggiava un ragazzo di circa vent'anni, che indossava una tuta da ginnastica. In mano aveva un quotidiano sportivo. Il commissario aveva letto il registro delle presenze della Di Silvestro, decise di tentare.
“Mi perdoni, lei è il signor Giacomo Cirilli?”
Il ragazzo si fermò, alzò gli occhi.
“Sì, sono io. Con chi ho il piacere di parlare?”
Boschi si qualificò, mostrando il tesserino.
“Sono il commissario Boschi, dirigente del commissariato di Pubblica Sicurezza di Montesilvano. Sto indagando sulle cause che hanno portato all'esplosione della fabbrica dei Di Silvestro. Se la sente di rispondere a qualche domanda?”
“Certo commissario, non si preoccupi.”
Presero posto in un salottino in fondo al corridoio.
Il ragazzo sembrava gentile e cordiale, Boschi non se la sentiva di impegnarlo per troppo tempo e così giunse subito al nocciolo della questione.
“Signor Cirilli, da quanto tempo lavorava per i Di Silvestro?”
“Da quattro anni, commissario. Mi sono diplomato cinque anni fa, una sera ho conosciuto Fabio Di Silvestro in un pub, avevamo amici comuni. Abbiamo fatto amicizia davanti ad una birra, Fabio mi ha detto che l'azienda di suo padre e suo zio era alla ricerca di un ragioniere da affiancare al vecchio contabile, il signor Guglielmo Di Cola, prossimo alla pensione. Io ho avanzato la mia candidatura, ho consegnato il mio curriculum a Fabio e così mi hanno preso. Ho imparato molte cose dal signor Guglielmo e mi occupo di amministrazione. Sarebbe meglio dire che me ne occupavo, dopo quanto è accaduto.”
“Cosa può dirmi dei rapporti con i suoi colleghi?”
“Abbiamo rapporti cordiali e sinceri. Non si può parlare di vera e propria amicizia, condividiamo le ore di lavoro ma all'infuori dell'azienda ognuno ha la sua vita. Sul posto di lavoro siamo sempre stati una squadra molto unita, nell'interesse dell'azienda e dei suoi titolari.”
“Capisco. E' stato davvero molto disponibile, signor Cirilli. Le chiedo ancora pochi minuti e poi la lascio riposare.”
“Ma si figuri, commissario! Qui il tempo non passa mai, una chiacchierata così rende meno noiosa la giornata.”
“Mi dica, ha mai notato qualcosa, che so, di singolare, di strano in qualche suo collega?”
“Come le ho già detto, tra noi c'è, anzi c'era, molta affinità e collaborazione. Tuttavia, ora che mi ci fa pensare, c'era una persona che tendeva spesso ad isolarsi.”
“Di chi si tratta?”
“Di un operaio, lo ricordo perchè ha un nome che resta impresso. Si chiama Ahmed Kahlgibran, a volte passava in ufficio, ma era di poche parole. Aveva sempre fretta, in questo ultimo periodo sembrava piuttosto nervoso, quasi spaventato.”
Il commissario provò una intensa soddisfazione, ma saggiamente non la diede a vedere. Ormai si era convinto che l'indagine stesse procedendo sul binario giusto, acquistando velocità di giorno in giorno.
“Grazie signor Cirilli, lei è stato veramente molto gentile. La lascio riposare, verrò a trovarla solo se sarà assolutamente necessario.”
“Torni quando vuole, commissario. Mi fa piacere.”
Uscirono dall'ospedale e si fermarono al bar di fronte per un caffè. Più tardi, mentre Grossi e Martella si recavano a prendere l'auto, Palumbo domandò al commissario:
“Pensi di aver trovato il collegamento tra le due indagini?”
Boschi rispose:
“Non lo penso, ne sono certo. E probabilmente c'è di più, ma devo avere nuove certezze. Andiamo, non c'è un minuto da perdere.”
Tornarono in commissariato quando mancavano pochi minuti a mezzogiorno. Boschi fu accolto da una comunicazione di Menichelli:
“Commissario, è giunto un fax per lei, inviato dalla questura di Pescara. L'ho messo sul suo tavolo.”
Entrò nel suo ufficio. Il fax, poche righe, era stato inviato poche ore prima.

Egregio commissario Boschi, abbiamo ricevuto stamattina una comunicazione dal Sig. Prefetto in merito alla tragedia del colle di Santa Marta. Le quattro vittime, rinvenute dai Vigili del Fuoco, si trovano ora presso l'Istituto di Medicina Legale e saranno restituite alla famiglia entro 48 ore. In forza di ciò, il Sig. Prefetto ha disposto la celebrazione delle esequie in forma solenne, presso la chiesa di S. Agostino di Marina di Città S. Angelo, per sabato prossimo alle ore 11. Il sig. Prefetto ci tiene molto alla Sua presenza, io l'ho rassicurato in tal senso. Probabilmente approfitterà della Sua presenza per chiederLe informazioni sulle indagini.
Certo della Sua partecipazione, La saluto cordialmente.


Dott. Angelo Riti
Capo di Gabinetto

Boschi rilesse il fax, poi lo piegò accuratamente e lo ripose in un cassetto. Avrebbe comunque presenziato al funerale di quelle persone oneste e sfortunate, tuttavia la comunicazione inviata dal questore fece sì che la sua partecipazione sarebbe stata ufficiale, magari occupando un posto in prima fila, cosa che il commissario non amava.
Chiamò Palumbo:
“Luca, sabato mattina che hai da fare?”
“Mi dedico alla campagna intorno a casa mia, come faccio sempre quando non sono in servizio. Ci sono delle novità?”
“Sì. Ci saranno i funerali dei Di Silvestro, nella chiesa di S. Agostino, a Marina di Città S. Angelo. Non è quella chiesa moderna, di forma circolare, accanto all'ingresso dell'autostrada?”
“Proprio quella. Trattandosi di funerali solenni celebrerà sicuramente il vescovo Sormani, inoltre i Di Silvestro sono sempre stati molto conosciuti e stimati. Prevedo una massiccia partecipazione.”
“Bene. Avvisa Vicari, se potessero presenziare anche lui e Martella sarebbe una buona cosa.”
Uscì dal commissariato, aveva voglia di un buon piatto di spaghetti allo scoglio e quindi si preparò a recarsi alla Spigola d'Oro. Ma non aveva fatto che pochi passi, quando squillò il cellulare. Guardò il display: conosceva quel numero.
“Ciao commissario, ti disturbo?”
La bella voce di Tiziana lo colse un po' di sorpresa, ma non gli dispiacque.
“No, sono appena uscito dall'ufficio. Ma tu non sei al lavoro?”
“Oggi abbiamo il tecnico dell'impianto a gas, sta eseguendo la revisione periodica degli apparecchi della cucina. Approfittiamo della chiusura settimanale, così oggi sono libera. Hai già mangiato?”
“Veramente stavo per farlo adesso. E tu?”
La ragazza rise:
“Io avevo deciso di non mangiare da sola. Posso invitare un commissario a mangiare con me?”
Era un'altra piccola sfida, apparentemente. Accidenti, quella bella ed intraprendente ragazza non finiva mai di stupirlo! Prontamente rispose:
“Certo, ma ti invito io. Stavo andando alla Spigola d'Oro, fanno degli ottimi spaghetti allo scoglio.”
“Dai commissario, niente mare per oggi. Tra cinque minuti sono pronta. Passi tu?”
Non gli diede tempo di rispondere, aveva già chiuso la comunicazione. Il commissario salì in auto e si mise in strada per raggiungere la pensione.
Tiziana lo aspettava sulla porta. Indossava un vestitino leggero di cotone, che le lasciava le spalle e buona parte delle splendide gambe scoperte. I capelli raccolti, il viso luminoso, gli occhi vivi senza un filo di trucco. Salì sull'auto del commissario, molti passanti invidiarono silenziosamente Boschi.
Disse al commissario, baciandolo su una guancia:
“Oggi andiamo in un posto nuovo.”
“Dove si trova questo posto?”
“Sulla provinciale dove è avvenuta la tragedia dei Di Silvestro. Dovremo superare il colle, poi ci troveremo in un piccolo paese. E là ci fermeremo.”
Il commissario seguì le indicazioni della ragazza. Aveva fatto più volte quella strada, ricordava il percorso seguito dall'agente Grossi. In poco tempo raggiunse il luogo ove un tempo sorgeva il colle di Santa Marta, lo guardò con una punta di commozione, poi tornò a concentrarsi sulla guida. Come aveva detto Tiziana, pochi minuti dopo raggiunsero un gruppo di abitazioni, contornate da un bar ed una stazione di servizio. Sul lato destro della strada, in corrispondenza di un ampio incrocio, un cartello malandato indicava, a due chilometri, la presenza del paese di Elice. Boschi domandò:
“Stiamo andando ad Elice?”
“Ma no. Vedi quel parcheggio in cemento? Vicino alla siepe? Ferma l'auto là, siamo arrivati.”
Il commissario parcheggiò l'auto, scesero. Sul lato sinistro della strada, a ridosso del parcheggio, la siepe si interrompeva per un breve tratto, lasciando spazio ad una scaletta in mattoni e parapetto in legno. Un'insegna, anch'essa in legno e molto ben tenuta, riportava la denominazione del posto: “Trattoria da Fabiola – La Dama del Fino”.
Al termine della scaletta si trovarono in un ampio prato, ben curato, contornato qua e là da piante di ulivo e cespugli di rose. La trattoria era una grande costruzione ad un piano, con i muri in mattoni rossi, il tetto in legno ed i pavimenti in pietra. Doveva trattarsi di un antico edificio che era stato ristrutturato. Dalla scaletta si apriva un viale lastricato in pietra, contornato ai due lati da cespugli di rose e bassi lampioni, che portava all'ingresso della trattoria. Poco lontano si sentiva lo scorrere di un ruscello. Erano molto vicini alla strada provinciale, eppure nulla disturbava quell'oasi di pace e silenzio.
Tiziana sembrava essere di casa e precedeva il commissario, che dal canto suo era rimasto ammirato dal posto. Ad un tratto la ragazza chiamò:
“Fabi!”
Dopo pochi istanti giunse sulla porta una donna alta e magra, i capelli ricci raccolti in un fermaglio, in tenuta sportiva. Fu sinceramente felice di rivedere l'amica.
“Titti!”
Si abbracciarono strette, poi Tiziana fece le presentazioni.
“Lui è Mario, un mio amico. E' un commissario, si è trasferito in Abruzzo da poco tempo.”
Boschi prese la mano della donna, la quale si presentò:
“Fabiola Angelini, amica d'infanzia di Tiziana. Benvenuti.”
“Grazie signora. Complimenti, è molto bello qui. La chiamano la Dama del Fino per il suo buon gusto?”
La donna sorrise:
“No commissario. Il Fino è un fiume che passa non lontano da qui. Il ruscello che sente scorrere è uno dei tanti piccoli corsi d'acqua che lo alimenta. Volete accomodarvi?”
“Certo.”
Tiziana diede un'occhiata alla grande sala. C'erano una trentina di persone, si avvertiva un parlottio sommesso che non dava alcun fastidio. Tuttavia la bella giornata ed il clima estivo invitavano a star fuori, così la ragazza chiese all'amica:
“Hai un tavolo sotto al pergolato?”
La Angelini rispose:
“Per te e per il tuo amico, sempre.”
E nel dir questo, strizzò l'occhio in cenno d'intesa alla ragazza.
Boschi non notò la complicità tra le due donne. Raggiunsero il tavolo, fece accomodare Tiziana e si sedette a sua volta. La Angelini portò una bottiglia di prosecco, la stappò e propose un brindisi:
“Alla mia amica Tiziana che a volte torna a trovarmi...ed ai suoi amici.”
Sollevarono i bicchieri, quindi la donna si alzò:
“Vi mando subito un cameriere, così potrete ordinare.”
Il commissario, grato per quell'accoglienza, rispose:
“Grazie signora.”
“E' un piacere. Mi chiami Fabiola. Gli amici di Tiziana sono anche i miei amici.”
Pochi istanti dopo comparve un giovane cameriere, sguardo attento e tovagliolo sul braccio. Aveva ricevuto istruzioni dalla proprietaria: non avrebbe consegnato loro il menù, avrebbero gustato vari assaggi delle specialità del giorno.
Tiziana disse:
“Per me va bene.”
Il commissario fece altrettanto:
“Sì, anche per me. Proviamo le specialità della Dama del Fino.”
Il ragazzo scomparve alla loro vista per ricomparire poco dopo. Spingeva lentamente un carrellino sul pavimento sconnesso. Giunto accanto al loro tavolo, servì un tagliere di salumi e formaggi del posto, quindi dei bocconcini di pane abbrustolito guarnito con olio locale, infine due ciotoline che contenevano quelle che sembravano essere palline impanate e fritte, poste in una salsa rossa.
Il commissario si incuriosì e chiese al cameriere:
“E queste cosa sono?”
Il ragazzo rispose:
“Queste sono le pallotte cacio e ova. E' una espressione dialettale, naturalmente. Si tratta di piccole polpettine che non sono a base di carne, bensì vengono ottenute da un impasto di uova, formaggio parmigiano e pecorino in parti uguali, il tutto unito alla giusta quantità di pane grattugiato. Vengono fritte in olio di oliva per qualche minuto, quindi poste in un sugo a base di pomodoro e pezzetti di peperone. Qui le usiamo molto come antipasto, in molte case si consumano come secondo piatto.”
Boschi rimase affascinato da quella breve, ma significativa spiegazione. Decise di assaggiarle e non rimase deluso: i sapori dei vari ingredienti si fondevano in un'armonia fino ad allora ignota, che ben si collocava in un posto meraviglioso come quello.
Le prime portate scomparvero. Fabiola Angelini aveva preparato una deliziosa chitarrina guarnita con pomodoro fresco, che presto lasciò il posto alle costatine di agnello alla brace. Era un continuo susseguirsi di sapori semplici e genuini, accompagnati da generose dosi di vino montepulciano. Il commissario non avrebbe dovuto abusarne, doveva guidare per tornare in ufficio, ma la presenza della ragazza e la magia di quel posto ebbero la meglio.
Ad un tratto Tiziana chiamò il cameriere e gli disse:
“Potresti dire alla proprietaria di portarci un assaggio, ma solo un assaggio?”
Il ragazzo la guardò con occhi interrogativi: non sapeva in che cosa consistesse quell'assaggio. Ma Tiziana lo rassicurò:
“Tranquillo, la Dama sa di cosa parlo. Siamo amiche da molto tempo.”
Il cameriere si allontanò ed il commissario chiese:
“In che cosa consiste l'assaggio?”
La ragazza rise:
“Lo scoprirai tra poco. E sono sicura che ti piacerà.”
Il cameriere tornò poco dopo. In mano aveva un ampio piatto da portata, sul quale si trovava un involto di carta di alluminio. Da un lato dell'involto uscivano numerosi bastoncini. Boschi si mise a ridere:
“No, perchè non me l'hai detto prima? Avrei tenuto più posto!”
La ragazza rispose:
“Se te lo avessi detto, non sarebbe stata una sorpresa!”
Risero, poi scartarono l'involto. Una ventina di arrosticini, caldi ed invitanti, li attendevano. Era dai tempi dell'invito a casa di Palumbo che il commissario non aveva più visto questo alimento, si era ripromesso di provarli ed ora finalmente poteva farlo. Li trovò deliziosi, Tiziana non fu da meno e così in poco tempo non rimasero che i bastoncini vuoti.
Poco dopo comparve la Angelini con un vassoio: c'erano tre tazzine di caffè, tre bicchierini ed una bottiglia colma di un liquido giallo. Posò tutto sul tavolo e disse agli ospiti:
“Ed ora un buon caffè. Infine un sorso di limoncello fatto da noi. E' fresco e gradevole, penso che sia gradito al termine di questo pranzo.”
Il commissario rimase meravigliato. Per lui, convinto sostenitore dei sapori che aveva trovato alla Spigola d'Oro, quel tuffo in un menu di carne e sapori locali fu una gradita sorpresa, che presto si sarebbe potuta replicare.
Si alzò dal tavolo e prese il portafogli per recarsi alla cassa, ma la Angelini lo bloccò:
“No, commissario. Oggi siete ospiti della Dama del Fino. E non insista, la prego. Tiziana è mia amica da troppo tempo, ci vediamo così poco ed oggi è un giorno speciale.”
Boschi era imbarazzato e confuso. Preso atto della cosa, non gli rimase che aggiungere:
“D'accordo Fabiola. Ma se è così, tornerò presto. Ma non chiamarmi commissario, qui non siamo in ufficio. Chiamami Mario. E diamoci del tu.”
La Angelini fece un cenno d'intesa all'amica e rispose:
“D'accordo. I formalismi non ci piacciono.”
Si era fatta l'ora di andare. La Dama abbracciò il commissario, strinse a lungo l'amica:
“Spero tanto di rivedervi presto.”
Entrambi risposero:
“Puoi contarci!”
Mentre si avviavano verso l'auto, Tiziana domandò al commissario:
“Hai fretta di tornare in ufficio? Hai molto da fare?”
“Dovrei esaminare delle schede segnaletiche e prendere delle informazioni su alcune persone.”
“Non puoi delegare il tuo vice?”
“Penso di sì. Perchè?”
“Bè, perchè.....insomma, qui è molto bello e non ci vengo spesso. Vorrei fare due passi fin dove scorre il ruscello, ricordo che ci sono delle panchine sotto ai salici. Si sta bene. Possiamo andarci?”
“D'accordo. Una passeggiata ci starebbe bene.”
Tornarono sui loro passi, passarono accanto alla trattoria, quindi proseguirono per un breve sentiero che si snodava tra gli alberi. Il suono argentino dell'acqua del ruscello si fece più forte, finchè non raggiunsero una piccola radura. Vi erano delle panchine in legno, postazioni attrezzate con tavoli e panche, piccoli barbecue in pietra. L'accesso al ruscello era delimitato da una recinzione in legno, in tono con il resto dell'ambiente.
Raggiunsero una panchina un po' più distante dalle altre, all'ombra di un grande salice. Boschi si abbandonò per un istante ai suoi pensieri, ammirando quel panorama silenzioso, interrotto solo dal gradevole suono dell'acqua che scorreva. La ragazza si sedette accanto a lui, mise con naturalezza la testa sulla sua spalla. Le gambe abbronzate catturarono per un istante l'attenzione del commissario.
“Sai, in passato venivo qui ogni volta che potevo. Fabiola abitava a Roma, ma non si trovava bene. Con suo marito hanno deciso di riprendere quell'antico casale, lo hanno ristrutturato fino a farne quel che è ora. Fabi lo gestisce da sola, suo marito è ingegnere e lavora sulle piattaforme petrolifere. Torna a casa molto raramente.”
La ragazza sospirò e chiuse gli occhi, poi continuò.
“Oggi ho deciso di tornarci, ho pensato che avrei potuto farlo con te e sono stata felice che questo sia stato possibile. Sono stata felice, perchè...”
Ma non finì la frase. Rialzò la testa, la girò verso il commissario, gli prese il viso tra le mani. Non sapeva se stava facendo la cosa giusta, ma in quel momento non poteva farne a meno. Avvicinò le sue labbra a quelle del commissario, gli diede un bacio, lungo, appassionato. Si staccò, lo guardò intensamente negli occhi, poi riprese. Boschi strinse a sé la ragazza, ricambiò a lungo quel bacio, ce ne furono molti altri. Tiziana staccò il suo viso da quello del commissario, aveva gli occhi pieni di lacrime. Boschi le domandò:
“Perchè piangi?”
“Piango perchè ti amo. Ti amo dal primo giorno che ti ho visto alla pensione e so quanto è difficile far breccia nel tuo cuore.”
Il commissario la guardò a lungo, in silenzio. Le carezzò il viso e le disse dolcemente:
“Anche le pietre più dure possono sbriciolarsi. I grandi dolori induriscono il cuore, per molti anni ho dovuto combattere con l'angoscia legata alla perdita dei miei genitori. Ma un cuore duro non è un cuore impenetrabile, è solo in attesa della persona giusta, ideale. Sei sicura di non essere riuscita a far breccia nel mio cuore? Io ho sempre temuto di dirtelo, ma ti amo. Ti amo, semplicemente.”
La ragazza gettò le braccia al collo del commissario, scoppiò in un pianto dirotto. Ma erano lacrime di gioia.
Un solo spettatore, il ruscello, aveva assistito alla prima sfida persa dal commissario. Ma si trattò di una sconfitta felice.

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